Una lunga esperienza come barbiere e una famiglia che gli vuole bene non sono stati abbastanza per tenerlo lontano dalla prigione delle dipendenze. E’ caduto e si è rialzato più volte ma ora il percorso è ricominciato con la giusta marcia e Antonio con l’aiuto del Centro per le dipendenze di Acerra e del progetto Game Over, non ha intenzione di tornare indietro.
“Non ero mai entrato in un liceo e quando al Brunelleschi di Afragola, ho visto tutti quei ragazzi presenti per ascoltarci mi sono reso conto di aver perso gran parte delle gioie che la vita avrebbe potuto regalarmi. Ho capito che in quell’aula nessuno c’era per un semplice caso e ho vissuto sulla pelle la responsabilità di parlare con il cuore in mano, senza fingermi forte ma con la certezza di far capire che le dipendenze non portano da nessuna parte. I ragazzi si avvicinano al pericolo inconsapevoli delle conseguenze che ne possono scaturire ma la verità è che la dipendenza dalla droga, dall’alcol o dal gioco ti spegne. Ti rende un invisibile ai tuoi stessi occhi e man mano agli occhi di chi ti sta accanto”. È da questo ultima esperienza, vissuta con gli educatori del Centro per le pluridipendenze di Acerra nell’ambito del progetto Game Over sostenuto da Fondazione CON IL SUD, che Antonio, 30 anni di Napoli, comincia a mettere insieme i pezzi di una storia che lo ha investito fin dal dodicesimo anno di età.
“All’inizio, erano i classici spinelli poi a 18 anni mi hanno offerto della cocaina e quello che aveva creduto essere solo un gioco mi ha man mano divorato. Ho frequentato la scuola solo fino alla prima media, non riuscivo a tenere un libro in mano e pur riuscendo ad assimilare le spiegazioni dei professori, non è bastato”, dice Antonio. Il suo rammarico è evidente ma anche la sua voglia di lasciarsi tutto alle spalle e ripartire con una nuova marcia. Sul polso destro sotto la felpa, si intravede un tatuaggio è un rasoio con una ragnatela per indicare l’old school dei barbieri. Il lavoro che Antonio fa da sempre. È bravo, ha una lunga esperienza e il titolare di lui si fida. Sul braccio ha anche altri disegni che ricordano il suo trascorso da ultras. “Ho fatto tante cose brutte ma se mi fermo a pensare solo a quello che ho commesso mi inabisso di nuovo ed invece voglio andare avanti, voglio respirare la calma”.
Il percorso di riabilitazione lo ha cominciato ad ottobre 2023 ma la strada è tutta in salita. “Sono ricaduto diverse volte e l’ultima è stata il 27 dicembre, ero per strada, vagavo in macchina e a tratti ho anche sperato di morire, ora so che sono stato un vigliacco a desiderarlo. Mi sono salvato perché mia sorella Titti che era tornata dalla Germania per le festività natalizie, è venuta a cercarmi e mi ha riportato a casa. A casa dei miei genitori perché giustamente la mia compagna, mi aveva cacciato di casa difendendo per quel che poteva la tranquillità dei nostri figli”. A far scattare la molla però è stato Mario, il mio primogenito di soli tre anni. Un giorno, facendo evidentemente sintesi di tutte le mie assenze, mi disse: “papà questa non è casa tua, casa tua è dalla nonna”. Una frase semplice che mi arrivò come una tragica costatazione e che mi fece capire con tutta la chiarezza di questo mondo che non stavo condannando solo me stesso ma anche lui”. A distanza di quasi tre mesi, la vita di Antonio ha imboccato una direzione diversa. Ha chiuso con le amicizie del passato, la sera torna a casa perché sa che i figli lo aspettano e che questa è la vita che vuole.
Articolo a cura di Tina Cioffo