“La ludopatia si prende tutto, fino a che non resti solo”, La storia di Raffaele 52 anni del Napoletano è un viaggio nella dipendenza.
“La ludopatia non è un’influenza che possa passare con una semplice aspirina. La ludopatia è un cancro e come tutti i tumori è capace di mettere metastasi se non ti rendi conto che hai bisogno di una cura e di controlli a vita, per evitare recidive”. Raffaele, 52 anni del Napoletano è lapidario. La sua metafora di radice oncologia bene descrive come si sente un giocatore d’azzardo patologico.
“Giocare mi è sempre piaciuto, adoravo l’adrenalina che mi invadeva e ho cominciato molto presto con il poker e poi con la roulette, mi sono affidato completamente alla sorte facendomi trascinare mani e piedi fino a che non ho toccato il fondo”, dice Raffaele. Il fondo, però, non è uguale per tutti, perché non siamo tutti uguali ed è fondamentale che ognuno trovi il suo per poter poi risalire la china, affidarsi alle cure e tenere a bada il mostro del gioco che non sparisce mai del tutto ma che si impara a non far tornare.
Nella sua storia di giocatore, Raffaele, non riesce a quantificare quanto abbia perso ma certo i risparmi di una vita li ha mandati in fumo ed è quando il suo conto in banca venne lasciato in bianco con la dissipazione del reddito familiare che la moglie Patrizia si accorse della sua ludopatia. “Cominciai a frequentare un gruppo di terapia ma – confessa- lo facevo senza alcuna convinzione, mi illudevo di poterla fare franca. Accontentavo mia moglie e la mia famiglia ma poi quando uscivo dal Centro andavo a giocare. Era tutto falso, falso io, falsa la ripartenza, falsa la consapevolezza del problema che avevo e per il quale i miei familiari continuano a pagare senza aver mai avuto colpa”. Raffaele, ha giocato anche durante il periodo della pandemia del Covid 19. Le ricariche on line, non le faceva mai in un unico posto perché non voleva che si sapesse del suo problema. In una sola notte, passata a giocare davanti ad un computer, con una ricarica di 35 euro perse oltre 8 mila euro. Le cifre dell’online, disponibile 24 ore su 24, sono da capogiro. Quando non aveva soldi, chiedeva credito ad un gestore di una sala giochi che certo non glielo negava visto che quello è il modo con il quale i gestori delle sale si assicurano il mercato dei giocatori. E in molti casi, a quei crediti vengono applicati dei tassi di interesse portando il giocatore patologico a finire sotto usura.
“Il cambiamento vero – continua – arrivò quando dopo aver dato di matto per andare a giocare, inveendo anche contro mia figlia Maria tornai a casa e la trovai in lacrime. Mia moglie aveva capito che ero andato a giocare ma mia figlia tentava di proteggermi, mentendo alla madre. Piangeva perché era combattuta, si trovò con le spalle al muro e allora mi guardò dritto negli occhi e senza aggiungere altro, mi disse solo: “papi ti devi curare”.
“Pensavo di essere diverso dai drogati ma quando mi trovai con le mani tremanti, al punto tale che non riuscivo a digitare i codici per giocare, cominciai a capire che in fondo la ludopatia non è diversa dalla tossicodipendenza. Siamo – dice Raffaele- entrambi dei dipendenti. Il giocatore sente l’impulso del gioco esattamente come il drogato ricerca la sostanza. Nulla di diverso”. Il desiderio irrefrenabile anche a dispetto del grosso rischio che si corre è il medesimo.
Raffaele non gioca da tre anni ma non ha mai abbassato la guardia e non ha intenzione di farlo. “Devo tenere le difese sempre molto alte perché non devo e non voglio farmi risucchiare. Il gioco si prende tutto, e non parlo solo dei soldi. Si prende l’anima, il cervello, la dignità e si prende anche la tua famiglia e i tuoi amici, fino a che non resti completamente solo. La mia famiglia mi è rimasta accanto ma so di aver perso una buona dose di rispetto, so che non si fidano più di me e so di essere messo sempre in discussione. È il prezzo che devo pagare per aver permesso al gioco d’azzardo di approfittare di me e della mia esistenza”. Ha chiesto alla moglie di non lasciargli mai dei contanti, ha in tasca solo una prepagata e ogni settimana segue i gruppi di terapia al Centro per le polidipendenze di Acerra, grazie al progetto Game Over sostenuto da Fondazione CON IL SUD. La strada non è in discesa ma Raffele è determinato: “Raccontare la mia storia, mi aiuta a ricordare da ove vengo e dove non voglio tornare”