Le sale Bingo erano per lui il posto sicuro dove poter vivere le sue dipendenze senza dover dar spiegazioni. Protetto da slot machine e tavoli da gioco, Nando si è autodistrutto perdendo se stesso e la sua famiglia. Ora, è impegnato a ricostruire grazie alle attività del progetto Game Over e all’aiuto di un programma di recupero individualizzato.
Quattro figli e una donna che lo ama, non sono bastati a salvare Nando dal dirupo esistenziale nel quale è caduto perdendo ogni cosa. La sua, è una storia di dipendenza, almeno fino a questo momento. “Ho perso tutto e da un giorno all’altro non avevo dove andare a dormire né da mangiare e vestire. Queste persone, angeli in terra, mi stanno ricostruendo pezzo dopo pezzo e io con loro so di potercela fare”. Il racconto di Nando, 51 anni di Napoli, dipana dolori mai del tutto accettati e ogni volta tornati a presentargli il conto con gli interessi. “L’ultima volta a casa – spiega- ho dato il peggio di me, senza controllo offesi la donna della mia vita, rompendo ogni cosa mi capitasse a tiro. Nulla sentivo, nulla! Fino a che scorsi mia figlia uscita dalla cameretta e in lei vidi la paura. Mio figlio Marcello, senza trovare la forza di piangere mi disse “Papà smettila””. Nando è stato accolto dal Serd del Dipartimento delle Dipendenze Patologiche (DDP) guidato dal direttore Vincenzo D’Auria e da otto mesi è ospite del Gruppo Appartamento Stop and go nato ad Acerra, nell’ambito del progetto Game Over finanziato da Fondazione CON IL SUD per il contrasto delle dipendenze, con un ampio partenariato capeggiato dalla cooperativa sociale Officina dei Talenti, insieme a Un Fiore per la vita, Regina Pacis, Il Millepiedi, P.a.s.s. e l’Asl Napoli 2 nord.
La storia di Nando, è cominciata quando era un bambino di 11 anni. Il giorno in cui suo padre ebbe un ictus in macelleria rimase orfano, obbligato a bruciare tutte le tappe della crescita e con queste anche quelle che lo avrebbero potuto salvare. “Ero un ragazzino normale, andavo a scuola e mi piaceva giocare a calcio. Avevo amici sani e con loro stavo bene, ma poi – confessa- tutto è cambiato”. Uno sliding doors e Nando entra in un’altra dimensione. Gli amici del calcetto furono sostituiti dal gruppo delle scorribande, la scuola dal lavoro e il bambino investito da mille responsabilità, un uomo in balia dei venti. “Sentii di dover prendere il posto di mio padre, di dover portare soldi a casa e tentare di non far mancare nulla a mia mamma. Sbagliai tutto e – ammette- di errori ne ho commessi tanti a lungo”.
Cominciò a drogarsi, a giocare e a commettere ogni tipo di azione per poter assicurarsi le sue dosi diventando vittima, in un sol colpo, delle sostanze e di un delirio di onnipotenza senza via di uscita. “Nessuno se ne accorgeva perché non ero mai trasandato e riuscivo a tenere testa alle apparenze, in fondo – dice Nando- è questo che la maggior parte delle volte si guarda e si giudica. Sono sempre stato nel settore dell’abbigliamento con compravendite non sempre legali e il commercio mi fece incontrare la mia prima fidanzata. Si chiamava Rita, dovevamo sposarci, suo padre pensando di distogliermi dalle cattive amicizie del quartiere, aveva deciso di farmi gestire con la figlia un negozio di abbigliamento ad Ischia”. Altre responsabilità, altro cambiamento non richiesto. Una mattina gli affidarono il negozio di Napoli mentre loro seguivano le ultime cose sull’isola e quello fu il punto di rottura. Nando andò in overdose tra jeans, felpe e t-shirt. “Mi salvai -ricorda- perché un collega passando mi vide riverso sul pavimento e chiamarono l’ambulanza. In ospedale si scoprì tutto, ero vivo ma anche un po’ morto”. La storia con Rita si concluse da lì a poco mentre quella della dipendenza continuò.
“A 22 anni incontrai la ragazza che avrebbe dedicato la sua a vita a salvarmi, anche ora lo sta facendo”. Romina era amica della sorella Susetta, la prima volta la vide a casa e tra una battuta e l’altra le chiese di uscire, lei accettò a condizione che sii disintossicasse da ogni cosa. “Ero stato scoperto e non potevo più nascondermi. Lo feci. Mi chiusi in casa e scesi nell’inferno“. Le fiamme si spensero ed il primo appuntamento al cinema divenne l’inizio della loro storia d’amore. Dolori e sofferenze furono messi in pausa ma irrisolti e così l’inferno fu destinato a tornare. Tornò e tornò senza allentare mai la presa. Nel 2017, il ferimento grave dei suoi primi due figli, Antonio e Sasi, lo fece soccombere. Voleva vendicarli ma i figli gli chiesero di far nulla. Le coordinate che lo avevano guidato fino a quel momento saltarono e con esse anche il suo precario equilibrio. “Mia moglie mi aspettava chiedendomi di smetterla per il suo bene, per quello dei miei figli e per il mio ma non l’ascoltavo. Da lei pretendevo solo di essere sempre perdonato così come aveva sempre fatto mia madre ma lei è mia moglie non mia mamma”. Ricominciò a drogarsi e per farlo si nascondeva nelle sale Bingo accettando come compagne le slot machine, i tavoli del gioco d’azzardo, l’alcol che pagando non gli veniva rifiutato ed il puzzo di moquette intrisa di fumo. Il cammino di riconciliazione con se stesso, con il suo passato da bambino e con la sua famiglia è però finalmente cominciato.